La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Se il presidente non può sottoscrivere per morte o per altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento; se l’estensore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento.
dichiarativa: accertamento dell’esistenza o meno di un diritto senza creare, modificare, estinguere una situazione giuridica. Es: la sentenza che accerta l’avvenuta risoluzione del contratto, che accerta la nullitàmi devo sposare), e vi è inadempimento (l’abito viene confezionato in un tempo successivo), il contratto si risolve di diritto il giorno stesso dello scadere del termine: in tal caso il giudice, rilevato l’inadempimento, accerta l’intervenuta risoluzione del contratto (a partire dal 2 giugno, nel nostro caso). (Sentenza dichiarativa o mero accertamento)
Se invece non è apposto alcun termine (es: affido ad una impresa il restauro della mia casa in campagna), e vi è inadempimento (la casa non viene restaurata e decido, così, di cambiare l’impresa appaltatrice), il contratto, per poter essere risolto, avrà bisogno dell’intervento del giudice: in tal caso il giudice, rilevato l’inadempimento, risolverà il contratto (con effetti a partire dalla domanda giudiziale). (Sentenza costitutiva)
Se, accanto alle sopradescritte situazioni, fosse stata chiesta la condanna alla restituzione di quanto pagato, (anticipo, caparra), il giudice condannerà alla pagamento di tale somma (sentenza di condanna).
Nel processo penale
In campo penalistico, la sentenza è generalmente disciplinata dagli articoli 529 – 543 del codice di
Anche la sentenza di annullamento senza rinvio può equivalere all’assoluzione, tranne in caso di ripristino di una sentenza di condanna o nell’annullamento senza rinvio per vizio di forma, che può sospendere ogni procedimento (ad esempio in casi di imputato contumace o irreperibile); si configura come assoluzione se viene ripristinata una sentenza di assoluzione precedente, oppure l’annullamento stesso si presenta come un’assoluzione nel merito, allorché la Corte, che per regola esprime un giudizio di legittimità), ritenga superfluo il rinvio oppure proceda alla determinazione della pena dando eventualmente i provvedimenti necessari (artt. 620, lett. l), e 621 c.p.p.), trattandosi, in tali ipotesi, di cassazione senza rinvio con decisione nel merito.
La formula assolutoria “dubitativa” per insufficienza di prove non è più contemplata nel codice di procedura penale vigente: l’assoluzione è sempre considerata piena. Quando, nel linguaggio giornalistico, si parla di “assoluzione per insufficienza di prove”, ci si riferisce alla sentenza pronunciata ex art. 530 comma 2 c.p.p. (assoluzione “quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova”); l’assoluzione è comunque piena e non indebolita né dubitativa.[6] La dottrina lamenta tuttavia che l’effetto sia quello di uno stigma morale e sociale[7]; inoltre, solo un giudicato penale che contenga in termini puntuali che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, è idoneo a generare effetti preclusivi nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari”. Tuttavia, non è ammessa impugnazione, per carenza di interesse ad agire, dei provvedimenti di assoluzione pronunciati ex art. 530 comma 2 (così, ex multis, sent. Cass, III sez. pen., 5 giugno 2014)[8].
La sentenza di assoluzione, anche non definitiva, ha inoltre come effetto la cessazione immediata di ogni misura restrittiva, per il reato in esame.[6]
La cosiddetta legge Pecorella del 2006 ha modificato l’articolo 533 del Codice di Procedura Penale introducendo alcuni limiti all’appellabilità delle sentenze di assoluzione; la portata della riforma è stata tuttavia ridimensionata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della nuova normativa sotto più di un aspetto. La medesima legge ha inoltre introdotto nell’ordinamento italiano il principio secondo cui il giudice può pronunciare sentenza di condanna a carico dell’imputato solo qualora la colpevolezza di questi emerga “oltre ogni ragionevole dubbio”[9]. Tale principio (beyond any reasonable doubt) fu enunciato in una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1970, la In re Winship, ed è un tipico principio del garantismo della common law, accolto in civil law (dove era già presente il brocardo in dubio pro reo).
La cognizione generale di legittimità – con cui viene accertato quali fossero le condizioni ed i presupposti ai quali l’amministrazione avrebbe dovuto attenersi in sede di esercizio del potere di decisione – costituisce “uno dei contenuti tipici della sentenza amministrativa sull’azione ex art. 29 cod. proc. amm., come pacifico già prima che nel giudizio amministrativo si affermasse il principio fondamentale dell’effettività della tutela (art. 1 cod. proc. amm.) e che sulla base di quest’ultimo si considerasse l’ordinaria e tradizionale azione di annullamento di atti autoritativi come atto iniziale di un giudizio sul rapporto amministrativo nel suo complesso, anziché di un giudizio limitato alla sola cognizione parentetica dell’atto impugnato”[11].
La dichiarazione di illegittimità costituzionale è il fulcro delle decisioni di merito, pronunciate dalla Corte costituzionale nell’àmbito dei giudizi sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge. Infatti l’art. 18 della legge n. 87/1953 statuisce: «La corte giudica in via definitiva con sentenza. Tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza. I provvedimenti del Presidente sono adottati con decreto. Le sentenze sono pronunciate in nome del popolo italiano e debbono contenere, oltre alla indicazione dei motivi di fatto e di diritto, il dispositivo, la data della decisione e la sottoscrizione dei giudici e del cancelliere. Le ordinanze sono succintamente motivate».
Tuttavia, la controversia portata a palazzo della Consulta può aver termine anche con le ordinanze di manifesta infondatezza e con le ordinanze di manifesta inammissibilità e di restituzione degli atti al giudice a quo; hanno, nei confronti del giudice a quo, un effetto preclusivo (rispetto all’eventuale riproposizione della medesima questione nell’àmbito dello stesso grado di giudizio) le declaratorie di manifesta inammissibilità in conseguenza di vizi dell’instaurazione non sanabili o non rimediabili.